un punto di vista.

by alessandro

04/03/07



Alcuni giorni fa, navigando il sito de "la repubblica" la mia attenzione è caduta su un marchio, presentato in Home Page come il marchio del turismo in Italia. Caspita, ho pensato, un marchio per l'Italia e subito dopo... ma è questo qua???
Ho pensato quindi che fosse utile proporre la discussione a scuola, limitatamente al simbolo grafico e alla maniera con cui comunicasse o meno quelle che sono le radici storiche e culturali del nostro paese.
Poi, decidendo di approfondire la ricerca da solo, mi sono accorto che in realtà la cosa non aveva attratto solo la mia attenzione ma anche quella di tantissimi professionisti del settore tra cui l'Aiap stessa che altre ad aver detto la sua per voce di alcuni dei suoi più importanti associati, quali Massimo Pitis, Leonardo Sonnoli, Sergio Polano, Franco Achilli / A+G, Beppe Chia e Mario Piazza ha deciso di promuovere una petizione, che ad oggi ha raccolto ben 3200 firme e che è stata consegnata al ministro Francesco Rutelli e al presidente della Commissione Cultura Pietro Folena.
Andando a vedere ancora più indietro mi accorgo come già il bando stesso avesse suscitato interesse e sdegno per le limitazioni all'accesso quali:
avere un fatturato complessivo degli ultimi tre anni non inferiore al milione di euro;
due dichiarazioni di affidabilità bancaria.
e per la lacunosa e limitatissima descrizone del brief.

Sebbene non approvo sollevazioni di massa e battaglie a giochi fatti, sarebbe stato opportuno spendersi prima visto che era palese come la gara non fosse gestita in maniera coerente, mi vengono diverse riflessioni a riguardo.

Spesso il problema dei concorsi pubblici ed il motivo per il quale chi lavora nel settore si sente scoraggiato nel parteciparvi è proprio la loro distanza dalla situazione reale in cui chi lavora nel settore opera.
Metodi di presentazione dei brief scorretti o incompleti, richiesta del materiale che obbliga ad eccessi o limitazioni, giurie che non garantiscono la necessaria presenza di professionisti del settore capaci di valutare, oltre alla componente creativa del progetto, quella funzionale, legata all'applicazione reale e all'usabilità del progetto proposto.
Questo amplifica la situazione di un settore che, oltre a non essere regolamentato e protetto da associazioni di categoria o albi vari, di cui sono peraltro contrario, si trova ad operare toccando corde relative alla sfera soggettiva, legate alla creatività che se non ricondotte a regole pratiche, finiscono per proporre un prodotto difficilmente tangibile e quantificabile, anche a livello economico.

Una gara che assegna 100 mila euro ad un marchio è una delle prove di questa distanza.

La maggior parte dei professionisti più in gamba e che lavorano nel settore della comunicazione sono di fatto tagliati fuori dalla partecipazione, oltre a sentirsi mortificati nel vedere la cifra che si assegna al vincitore, oltre che al risultato finale.

Condivido quindi molto di più una voce che deve essere forte e che vada in direzione di una regolamentazione delle gare stesse, che scelga le regole prima dei progetti, la giuria prima degli studi o studenti che possono o non possono partecipare e che riconosca il valore del lavoro presentato, con dei rimborsi spese per chi raggiunge comunque gli obiettivi fissati o un ritorno in termini di visibilità. Sarebbe un ottimo inizio.

Un punto di vista.